Intervengo sull’argomento con un parere, ovviamente personale, stimolato dalla pubblicazione su Ruminantia dello schema con il quale l’argomento è regolato in Israele. Come sarà chiaro, non cerco consensi; mi basterebbe ragionare su ciò che è possibile e sui limiti che oggi in Italia sperimentiamo.
Se qualcuno riuscirà mai a trovare un modello che riesca a mettere d’accordo tutte le parti in gioco e tutti coloro che hanno interessi in materia, produttori-trasformatori-Reti di vendita-consumatori, raccogliendo l’unanimità o quasi dei consensi, propongo di assegnargli un premio cospicuo e l’eterna riconoscenza. Sì, perché credo che costituisca una sorte di missione impossibile.
Il problema, vista dalla parte iniziale della catena, quella cioè dei produttori, deve tener conto di una questione di fondo: esistono importanti differenze nei livelli di efficienza tra chi produce latte e, di conseguenza importanti differenze nei costi di produzione. Queste differenze possono essere superiori a 15 centesimi al litro.
Una parte non esigua di produttori, ritiene che il prezzo del latte debba essere superiore ai costi di produzione, intendendo a qualsiasi costo di produzione. È chiaro che un sistema del genere, creando le condizioni di sopravvivenza necessarie a chi ha costi di produzione più alti non può pensare di essere in equilibrio. Un prezzo del latte alto stimolerebbe quelli più efficienti ad ampliarsi (situazione sotto gli occhi di tutti), con il risultato di rendere ancora meno competitive le aziende meno efficienti.
Del resto non si può pretendere che chi acquista latte sia obbligato ad acquistarlo al prezzo adatto a coprire le inefficienze di una parte dei produttori. Solo un Paese ad economia pianificata può immaginare una situazione del genere. In Italia ritengo si tratti di pura fantasia.
Questo significa, come minimo, che ogni azienda deve avere consapevolezza dei propri costi di produzione ed operare per essere il più efficiente possibile. A proposito di dati sui costi di produzione, ormai sono abituato a leggere report, pubblicati anche da autorevoli Istituzioni, per i quali, talvolta, mi prende il dubbio che ci siano degli errori di digitazione, tanto non sono aderenti alla realtà. È un dato di fatto che, salvo alcune esperienze (chi scrive ritiene di far parte di una di queste), non siano disponibili dati misurati, puntuali ed aggiornati circa l’evoluzione dei costi di produzione. Nella migliore delle ipotesi, si cita l’aumento (o, d’altra parte, la riduzione) percentuale del costo di acquisto di un dato fattore di produzione; come se questo si traducesse in automatico nel medesimo aumento/riduzione del costo globale di produzione. Di fondo, non siamo credibili, nei dati di cui disponiamo, quando ne disponiamo.
Per non farla troppo lunga, volendo ipotizzare un sistema oggettivo condiviso, si potrebbe ipotizzare di definire un prezzo base del latte, ricavato dall’andamento dei mercati internazionali, integrando lo stesso, in aumento o in riduzione con i prezzi dei bollettini di alcuni fattori di produzione pubblici e trasparenti quali: prezzo di mais granella, soia farina, girasole, paglia, fieni ed energia elettrica.
Sono peraltro consapevole che non verrò nominato né per un premio, né per l’eterna riconoscenza.